Peste suina africana: dopo i cinghiali colpisce gli allevamenti – Primo caso in Lombardia

Non era difficile prevedere che prima o poi la peste suina africana avrebbe colpito anche i suini domestici in qualche allevamento intensivo!  E’ del 25 agosto la conferma da parte dell’Istituto zooprofilattico della positività per PSA di campioni prelevati in un allevamento suino da ingrasso sito nel comune di Zinasco (PV) che allevava un migliaio di capi.

Quello che è sconcertante apprendere che  nell’allevamento, dai primi di agosto, si era manifestata una mortalità anomala che ha portato al decesso, in modo progressivo, circa 400 animali e che, nonostante ciò l’allevatore avesse inviato, incurante della mortalità degli animali e della malattia in tre distinti macelli della Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna circa 600 animali.

Dalle prime informazioni diramate dalla Regione si desume che ne l’allevatore ne il Veterinario libero professionista abbiano mai comunicato alle Autorità competenti il sospetto di questa ben nota e grave malattia infettiva, di fatto consentendo la possibile diffusione del virus attraverso animali, persone, mezzi di trasporto, lettiera ecc., in allevamenti e macelli ecc. .

Solo la casualità di un intervento programmato dalla ATS di Pavia e la professionalità di una collega veterinaria  hanno permesso di conoscere l’esistenza di ”una bomba biologica” .

Qui non si vuole colpevolizzare  o anticipare processi o misure nei confronti degli uni o degli altri , ma una serie di domanda vorremmo fare all’ “allevatore”, lo chiamiamo così ma non merita questo nome,poiché con il suo comportamento ha messo a rischio la salute ed il benessere non solo dei suoi animali ma anche di tanti Allevatori rispettosi delle regole che hanno investito in biosicurezza ed oggi si vedono costretti a sopportare delle limitazioni per colpe non loro .

Altrettante domande vorremmo farle al “veterinario libero professionista” di cui non conosciamo ne nome, ne età ne esperienza : è possibile che tu non conosca l’ABC delle malattie infettive  o,  tradendo il giuramento d’Ippocrate, ti sei piegato agli interessi privati consapevole del danno che tale comportamento dissennato avrebbe provocato alla  collettività locale, che ti offre il lavoro, ma all’intero Paese con il rischio di danni economici incalcolabili con la chiusura di  mercati internazionali per i nostri prodotti.

Vogliamo essere ottimisti, ma non è facile, siamo sicuri che le regioni interessate, le Aziende sanitarie locali o territoriali, il Ministero della salute sapranno energicamente intervenire sia con una tempestiva ed accurata indagine epidemiologica che permetta di individuare ogni possibile contatto di uomini e mezzi legati all’allevamento di Pavia sia per rafforzare le misure sanitarie nei confronti della peste suina.

E’ necessario un patto di filiera: allevatori, macellatori e trasformatori , poiché con i soli indennizzi agli allevatori o con la costruzione delle reti con la caccia, con arco e frecce , non si eradica la peste suina . Occorre innanzitutto:

1 la consapevolezza della gravità della malattia e del momento, con i mercati internazionali pronti ad occupare gli spazi vuoti lasciati dai prodotti italiani :

2. l’adeguatezza delle risorse ed il loro intelligente utilizzo dotando i servizi veterinari a livello centrale, regionale e locale di uomini e mezzi , per affrontare questa emergenza che è tale solo perché non si è dato ascolto a coloro che conoscono bene la gravità e le conseguenze della peste suina ma ci si è affidati a provvedimenti legislativi tampone ne risolutivi ne preventivi;

3. verificare e potenziare la “linea di comando” stabilita con il D.Lvo 136/2022 in materia di prevenzione e controllo delle malattie animali, poiché non ci possono essere comportamenti difformi tra Regioni e Regioni: le malattie infettive abbiamo visto che non hanno confini;

4.  informare e formare adeguatamente gli allevatori sui rischi delle malattie infettive, delle possibili conseguenze e dell’applicazione delle sanzioni in caso di mancato rispetto delle norme ; aggiornare i veterinari pubblici e privati sulla reale situazione epidemiologica in Italia ed in Europa e sulle caratteristiche della p.s.a e vie di diffusione e sulla necessità della verifica del rispetto delle condizioni di biosicurezza con formazione fatta da specialisti della materia ;

5. applicare sanzioni efficaci, che non possono essere solo le sanzioni amministrative di qualche migliaia di euro come previsto dal D.Lvo 136del 2022 ma si applichino , una volta accertate le responsabilità,  le norme previste dal codice penale in materia di diffusione di malattie infettive e diffusive del bestiame, il mancato indennizzo ed il pagamento di spese e risarcimento dei danni alla collettività;

6.rafforzare il sistema Classyfarm e verificando rapidamente i livelli di biosicurezza degli allevamenti  e rendendo immediata la tracciabilità delle carni, non solo macello e laboratorio di sezionamento ma anche allevamento d’origine.

 

 

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4 commenti su “Peste suina africana: dopo i cinghiali colpisce gli allevamenti – Primo caso in Lombardia”

  1. Canio Buonavoglia

    Ho letto la nota del dott. Borrello sul focolaio di peste suina africana. Molte cose ovvie, tanti indicazioni “fuffa” che, a mio avviso, servono poco per affrontare il problema.
    Tuttavia, sono rimasto negativamente colpito dai toni duri con cui l’autore si è scagliato contro l’allevatore e il veterinario dell’azienda. Non conosco i dati epidemiologici e clinici del focolaio e non so se l’allevatore e il veterinario abbiano commesso errori o superficialità. Tuttavia, bisogna tener presente che diagnosticare e gestire una malattia infettiva complessa come la peste suina africana non è semplice nelle condizioni di campo. E chi “vive” negli allevamenti ,piuttosto che dietro una scrivania, questo lo sa bene.
    Cordiali saluti

    1. Ringrazio il Prof.Canio Buonavoglia , da cui ho avuto sempre da imparare sin da quando era ricercatore all’ISS e successivamente Docente universitario, per l’attenzione che ha voluto dare alla news sulla peste suina africana. Premetto che dietro le mie riflessioni non c’era alcun intendimento di voler criminalizzare alcuno né tantomeno la categoria dei Veterinari. Mi sembra legittimo da chi ha una quarantennale esperienza in rapporti internazionali e conoscenza di quello che sarà l’impatto sui Paesi terzi di questa epidemia che rischia di mettere in ginocchio un intero settore per la “leggerezza” di qualcuno, fare qualche domanda !
      Un paio di mesi fa, una Associazione di categoria aveva stimato che la perdita del mercato giapponese era pari a circa 40 milioni di euro/anno!
      Ne allevatore ne veterinario libero professionista non potevano non conoscere che in questo momento, in tutta Europa, in Italia ed in quella determinata area geografica : provincia di Pavia erano stati già rinvenuti cinghiali morti , dopo Piemonte, Liguria,Lazio, Calabria e Campania ! Dal 2014 il ministero della salute, le Regioni e Province autonome hanno organizzato eventi formativi, diramato istruzioni, circolari diffuso dépliant per lanciare l’allerta e richiamare all’obbligo della segnalazione, anche in caso di solo sospetto , alle A.C.! Obblighi che non sono nuovi ma risalgono al vecchio Regolamento di Polizia veterinaria che abbiamo studiato sui banchi universitari ed applicato sino all’entrata in vigore del Reg.(UE)2016/429 che ribadisce e rafforza i concetti di segnalazione dei sospetti e responsabilizza maggiormente gli operatori.
      A me sembra che in questo nostro Paese, non solo nel settore di cui stiamo parlando, si tenda piuttosto a giustificare a priori i comportamenti, piuttosto che comprenderne le motivazioni e correggere gli errori . Non dobbiamo né tapparci la bocca né chiudere gli occhi per paura di offendere la sensibilità di qualcuno!
      La classe veterinaria sta facendo bene il proprio lavoro e lo ha dimostrato la professionalità della collega che è entrata per prima in allevamento e successivamente dei colleghi della ATS e della Regione ed IZS.
      Non mi sembra che sia banale chiedere che ci sia un’unica linea di comando e che i servizi veterinari debbano essere potenziati a tutti i livelli , Ministero della salute compreso, per poter essere di più sul territorio.
      La news non voleva assolutamente ne tantomeno dare suggerimenti o interferire con chi ha l’Autorità e l’autorevolezza e la capacità di prendere delle decisioni , ma solo essere una riflessione di qualcuno che ormai ha i capelli bianchi e che non vive dietro una scrivania ma è giornalmente a contatto con operatori e veterinari.

  2. Giancarlo Belluzzi

    Non entro nel merito dei precedenti commenti, tuttavia vorrei sottolineare che anche ieri, durante un webinar di Confagricoltura pavese (relatori Rudy Milani e Marco Farioli, quest’ultimo di Reg. Lombardia, serv. Veterinario; partecipanti oltre 400 links) sono stati usati termini ben più duri di quelli del dottor Borrello verso l’allevatore ed il collega. Innegabilmente i comportamenti di almeno un paio dei “colpiti” hanno favorito l’avanzamento della malattia. Malattia che non danneggia solo loro ma che causa danni a tutti gli incolpevoli: limitazioni gravissime di commercio, distruzione di materiali, perdite economiche e discredito nazionale. Personalmente ritengo che tutti noi Medici Veterinari dobbiamo darci da fare per uscire da questa falcidia, anche dicendo “pane al pane e…..” . Grazie

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